Ermanno Casasco Paysage

IO Design onlus : Intervista a Ermanno Casasco

4 dicembre, 2011

A cura di Jacqueline Ceresoli

Giardino pensile a Milano 1983

Lei è un paesaggista o Landscape designer, cosa significa e come è diventato progettista di parchi e giardini pubblici e privati?

Paesaggista o landscape designer sono due termini che si equivalgono, uno in italiano e l’altro in inglese. Negli anni ‘80 il termine paesaggista non circolava in Italia e io non volevo usare un termine inglese che tradotto significa disegnatore del paesaggio. Lavorando sulla Costa Azzurra ho conosciuto il termine “paysagiste” (paesaggista), che ho adottato perché non mi piaceva il termine “architetto del giardino” dato che non sono architetto. Queste definizioni servono solo a nobilitare quello che è: il mestiere del giardiniere. Io preferisco definirmi “contadino per i ricchi”. Sono diventato paesaggista per caso, dopo aver lasciato il Politecnico di Milano, sono andato a Londra per imparare l’inglese e lì ho avuto occasione di fare il mio primo giardino. Ho scoperto che mi piaceva lavorare all’aperto, a contatto con la natura, che era molto più salutare che lavorare al chiuso con prodotti chimici, molti dei quali cancerogeni. Da allora ho capito che dovevo approfondire questo mestiere per conoscere meglio le piante, e così ho fatto.

Dove si è specializzato e per quali elementi si riconosce il suo intervento?

Ho frequentato un corso di landscape designer in California a S.Francisco. Non ho mai cercato di personalizzare i miei giardini con degli schemi fissi, ogni volta mi adeguo al luogo in cui agisco, rispettando l’ambiente, il suo clima e le esigenze del committente. Inconsciamente, in tutto questo fare, non posso negare la mia sensibilità e lascio la mia impronta nei giardini in cui i miei clienti dicono di riconoscere il mio stile.

Dove lavora e chi sono i suoi collaboratori?

Ho uno studio di progettazione a Milano. Lavoro con alcuni collaboratori esterni che ho formato assumendoli prima come dipendenti per due o tre anni. Una volta instradati, si sono messi in proprio prendendosi cura dei giardini progettati insieme, mantenendo una completa disponibilità nel condividere con me nuovi progetti.

Qual è la differenza tra un architetto e un paesaggista?

L’architetto costruisce edifici, volumi che non cambino e durino nel tempo. Un paesaggista prima di tutto deve conoscere la botanica, nozioni che difficilmente l’architetto possiede. La prospettiva dell’architetto è completamente opposta a quella del paesaggista, va dall’alto verso il basso, mentre quella del paesaggista va dal basso verso l’alto, il paesaggio circostante e verso il cielo. Il paesaggista deve progettare, prevedendo l’espansione e le modifiche del giardino dopo 20/25 anni, pensarlo nella sua maturità, gestendo spazi e volumi che cambiano in continuazione durante questo lungo periodo di crescita.

Cosa pensa dei giardini all’italiana, all’inglese, mediterranei o giapponesi.

Alcuni li trovo bellissimi, stimolanti, altri puri e semplici arazzi. E’ come cercare di paragonare un castello ad un grattacielo. Appartengono a un momento storico e a un modo di vivere che non mi appartiene. Il giardino di ogni epoca rispecchia il gusto, la cultura di chi l’ha progettato. Il giardino è vivo, quindi si evolve, cambia in relazione con il tempo a cui appartiene e costringerlo dentro forme e schemi è quasi impossibile.

C’è qualche relazione tra Land Art, Art Nature e il paesaggismo, quale e perché?

Sono tre cose completamente diverse che utilizzano materiali naturali e vegetali con scopi totalmente diversificati.

Chi sono i suoi committenti e quali progetti le hanno dato più soddisfazione?

I giardini che mi hanno entusiasmato sono quelli che ho potuto seguire negli anni. Un esempio è il Parco Termale Negombo di Ischia che coltivo da 23 anni o il giardino del Museo Sabanci a Istanbul.

Dopo aver progettato (dagli anni ‘80 ad oggi ), giardini a New York, Antigua, Tangeri, Francia, Svizzera, Antalya, lavora di più in Italia o all’estero?

Ovunque. Sto seguendo un progetto in Turchia e uno in Sicilia, dove c’è una percezione e una sensibilità per la cultura del giardino, difficile da trovare in altre regioni italiane.

Lei è stato docente di Landscape, oggi consiglierebbe a un giovane di fare il paesaggista, troverebbe lavoro, perché?

Ho insegnato per anni e ho notato una notevole trasformazione di mentalità degli studenti. Venti anni fa frequentavano i corsi per imparare e fare. Negli ultimi anni frequentavano i corsi solo fare qualcosa e dicono di sapere molto. Il giardino, come dimostra la storia, si diffonde e prospera nei momenti di grande crescita economica, sociale, culturale e purtroppo non mi sembra questo il clima che si respira oggi in Italia. Come in molti altri settori, anche nel paesaggismo esiste una grande crisi che si avverte particolarmente nel settore florovivaistico, di conseguenza non si investe in nuovi progetti di giardini sia nel settore pubblico che nel privato. La realizzazione del giardino comporta uno sforzo mentale e fisico, a primavera piove, d’estate fa caldo, in autunno piove e c’è la nebbia, d’inverno fa freddo e nevica. I giovani pensano che il giardino si progetta disegnandolo al computer, giocando con le immagini, date le condizioni climatiche a cui è sottoposto, oggi fare il paesaggista è troppo faticoso e non è ambito dai giovani, poco inclini a vivere difficoltà fisiche. Il mestiere di giardiniere, che poi è la base per diventare paesaggista, è molto richiesto, ma è molto faticoso quindi sul mercato si trovano solo extracomunitari. La professione del paesaggista è considerata una professione specifica in molti paesi europei e all’estero, indipendente dalla laurea in architettura o in agraria. Questo non accade in Italia, dove con la riforma dell’ordinamento universitario è cambiato anche l’ordine professionale della categoria. Gli architetti sono quindi diventati automaticamente: pianificatori, paesaggisti e conservatori. La professione del paesaggista che ha cercato inutilmente di mantenere una sua identità, è stata inglobata nell’architettura. Attualmente, in Italia chi sceglie di fare il paesaggista deve per forza diventare architetto.

Dove vive?

Io vivo in Italia, dove ho notato che la costruzione di un giardino richiede il doppio di tempo, rispetto all’estero e i costi sono due volte superiori a quelli di un giardino analogo in Turchia, dove soggiorno spesso.

Sono anni che opero sul campo, all’aperto, ho acquisito conoscenza ed esperienza nell’ambito di questa professione, attualmente ho meno energia fisica per affrontare la fatica e le intemperie climatiche, quindi affido ai miei collaboratori esterni (Marcello Mannone, Daniele Bortolin e Andrea Cucci), i progetti, riducendo notevolmente il mio lavoro e selezionando solo ciò che mi interessa veramente. I miei giardini si riconoscono perché non modificano il paesaggio circostante, ma cercano di integrarsi con esso.

Perché in Italia, il paesaggismo non rientra ancora automaticamente nei piani urbanistici o di restiling e recupero di aree degradate o periferiche, costa troppo?

La situazione in Italia è che gli architetti progettano il verde e i vivaisti, i giardinieri e i paesaggisti (con poco lavoro) li realizzano. Quindi non c’è un rapporto diretto tra il progetto “teorico” e la sua realizzazione. Se esiste uno spazio libero o un’area degradata è senz’altro più conveniente costruire un edificio o altro, piuttosto che fare un giardino o un parco: l’edilizia è redditizia. Il parco o il giardino non producono reddito, costa realizzarli e mantenerli rigogliosi nel tempo.

Cosa pensa dei giardini pensili, possono sostituire i giardini nelle metropoli?

I giardini pensili sono sempre esistiti dai tempi di Babilonia. Oggi invece è di gran moda il giardino verticale. E’ gradito agli architetti e ai costruttori perché in questo modo possono cementare tutto e mettere un parrucchino verde sugli edifici per ingannare meglio i cittadini che vogliono il verde in città. Sono solo rivestimenti provvisori che richiedono grande manutenzione, un grande consumo di acqua, concimi e pesticidi, sono insomma l’opposto di come vengono presentati e venduti.

Diventano degli allestimenti e degli oggetti di arredamento. Un giardino non usufruibile non è un vero giardino. F.L.Wright diceva che “il medico può seppellire i suoi errori, ma l’architetto può soltanto consigliare al suo cliente di piantare delle viti”, tradotta da Gilberto Oneto in ” la verzura fa bella qualsiasi architettura”.

Se avesse la bacchetta magica come trasformerebbe Milano in una “Green city” e su quali aree interverrebbe, come e perché?

Milano ha un suo centro storico che non può diventare “Green” perché non è stato progettato con questa prospettiva. Esiste molto verde nel centro di Milano, ma è racchiuso all’interno delle corti, rispecchiando la cultura del passato, anche i terrazzi sono pieni di giardini pensili. Milano vista dall’alto è una macchia verde. Intasare le vie, già piccole e inadatte al traffico di oggi, con l’inserimento di alberi è un’assurdità sia per mancanza di spazio in superficie, sia per l’impossibilità di crescita delle radici nel sottosuolo. Le aree non ancora cementificate nelle vicinanze di Milano, dato che la città si sta espandendo velocemente, potrebbero diventare dei Central Park come a New York, ma sono troppo appetibili per la speculazione edilizia per poter diventare parchi.

In Italia il paesaggio sulla carta è un bene pubblico da tutelare, ma in realtà è difficile fare il paesaggista, perché?

Non penso che il paesaggio in Italia sia inteso come bene pubblico da tutelare. Basta chiedere ai tecnici dei parchi e giardini del Comune di Milano quanti problemi hanno a combattere gli atti di vandalismo, per non parlare dei furti di fiori e piccoli arbusti. Non c’è rispetto del bene pubblico. In Italia la professione del paesaggista, è una professione che non esiste, infatti non c’è nemmeno un albo.

Quali progetti sta realizzando a Milano?

Sto realizzando in Via Marconi, sponsorizzate dalla CoeClerici Spa, le due aiuole adiacenti all’Arengario divise dai binari del tram che abbiamo dovuto fortificare con una recinzione che speriamo resista ai vandalismi. Già durante i lavori abbiamo avuto problemi a difendere ciò che avevamo appena costruito dai comportamenti scorretti dei cittadini che nonostante la nostra presenza non rispettavano troppo il luogo. Sempre in tema di verde pubblico, curiamo anche la manutenzione dell’aiuola intorno al monumento a Garibaldi di Largo Cairoli, sponsorizzata ancora dalla CoeClerici Spa. Dopo ogni evento sportivo, manifestazione, sciopero o festa tipo carnevale o ultimo dell’anno bisogna intervenire al rifacimento dell’aiuola. Potrei fare una graduatoria delle varie categorie di cittadini che “amano” di più distruggere l’aiuola. Spiace dirlo, ma una manifestazione di donne tenutasi all’inizio di quest’anno è stata la più distruttiva, seguono gli sportivi, quindi gli studenti, mentre gli operai sono i più “rispettosi”.

Abbiamo trovato all’interno dell’area dell’aiuola sette grosse bistecche, sedie di plastica, bottiglie in quantità e sacchi e sacchi di immondizia varia.

Le nuove tecnologie hanno modificato il mestiere del paesaggista?

Questo discorso è lunghissimo e complesso e voglio solo accennare agli effetti disastrosi che photoshop e rendering hanno portato nella progettazione del giardino. Una volta si diceva che nella progettazione la carta prende tutto, oggi si può dire che il computer prende ancora di più. Per progettare un giardino con il computer bisogna prima saperlo costruire, conoscere le piante, il luogo e il microclima. L’uso della tecnologia non basta, è inutile progettare bellissimi rendering senza avere l’esperienza diretta della terra, dello spazio in cui esso interagisce. Senza l’esperienza dell’ambiente, la conoscenza della cultura del verde, il paesaggismo si nega. L’immagine estetizzante inganna il committente. I rendering e photoshop riescono “a far volare anche gli asini” e possono creare un’immagine affascinante di un Eden paradisiaco, difficile da realizzare e mantenere nel tempo, perché progettato senza conoscere le caratteristiche ambientali in cui il giardino si inserisce. A tal proposito, mi viene in mente la pubblicità di alcuni anni fa, quando una nota marca di pasta nazionale trasformò piazza del Duomo a Milano e piazza San Marco a Venezia in aree verdi con prati fioriti. E’assurdo, in piazza San Marco che fine farebbe il prato con l’acqua alta? Cosa resterebbe del prato verde in Piazza Duomo dopo una normale giornata di passaggio di turisti e cittadini?. Devo ammettere che il computer accelera moltissimo l’organizzazione del mio lavoro di progettazione, dandomi la possibilità di far capire e “vedere” in anticipo il progetto prima di realizzarlo al committente. Il disegno manuale richiedeva tempi lunghi di realizzazione e non offriva la possibilità di modifiche, di vedute sempre diverse in un solo “clic”.

Quali sono i paesaggisti che l’hanno maggiormente ispirata e perché?

Si impara da tutti e sono tanti i paesaggisti che mi hanno ispirato, ma maestro è solo chi ti segna in qualche modo e per me è stato decisivo il rapporto che ho avuto con Gilberto Oneto. Soprattutto il mio insegnante di Landscaping negli Stati Uniti, che mi ha dato le basi per affrontare questa difficile professione. Poi prendo spunto e “copio” i progetti dei grandi maestri italiani e stranieri, in particolare quelli che ho conosciuto e frequentato durante i miei studi in California, ma più che copiare, rielaboro, adeguo il giardino al luogo in cui intervengo. Ogni progetto è un opera che si relaziona con il luogo. La parte più interessante di questa professione è che non è mai ripetitiva e che ogni giorno si apprende qualcosa di nuovo. La natura in certi suoi aspetti ha ancora dei lati sconosciuti. Mi è capitato alcuni giorni fa di vedere in un vivaio a Pistoia una “chamaerops excelsa” capitozzata che aveva vegetato sulla cima tagliata. Ho chiesto una spiegazione al vivaista e mi ha risposto con un modo di dire tipicamente toscano: la natura ti fa bugiardo, perché in tutti i suoi anni di esperienza non gli era mai capitato di vedere un tale sviluppo vegetativo.

Joseph Beuyus, possiamo consideralo un paesaggista? Mi riferisco nello specifico al suo progetto di 7000 querce a Kassel?

Il fatto che un artista usi l’elemento vegetale per una sua realizzazione non fa di lui un paesaggista.

C’è stato un grande artista, lo scultore Isamu Noguchi, entrato nella storia del paesaggismo per i suoi progetti innovativi di giardini, spazi pubblici e aree verdi per giochi dei bambini. Ho lavorato spesso con artisti ed è stata un esperienza umana ed creativa straordinaria. Come ho già detto fare il paesaggista è molto faticoso e richiede salute e partecipazione durante la fase di realizzazione del progetto. Per la realizzare di un parco o un giardino bisogna avere un’idea e consapevolezza di come agire, trovare soluzioni diverse per superare gli ostacoli, mantenendo fisso il punto di arrivo. Per questo motivo disegno e progetto nei minimi dettagli quello che viene definito “hardscape” (piscine, percorsi, muri), in totale libertà e sempre nel rispetto dell’ambiente.

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